Pittarosso: tutto purchè se ne parli? (ma anche no)

Oggi voglio parlarti di un caso che la scorsa settimana ha invaso la timeline di tutte le bacheche degli account di social media manager: il caso Pittarosso.

Cos’è successo

Riepiloghiamo molto brevemente quello che è successo (perché fiumi di parole son già state spese): Pittarello Rosso, brand con una rete di negozi che vendono scarpe presente in tutta Italia, cambia il proprio nome in Pittarosso. Il tutto, come spiega Massimo Bendetti in questo post (in cui fa una splendida analisi da esperto storyteller) e soprattutto in questo (in cui approfondisce gli aspetti legali) è conseguenza di questioni legali nate con un altro brand omonimo, Pittarello, che ha vinto la propria battaglia legale prendendo così l’esclusiva del nome. Fin qui nulla di strano. Il problema è nato dalla campagna ADV che è stata creata per promuovere questo cambiamento. La testimonial scelta è la povera Simona Ventura e questo è il “grande risultato”.

Virale, non è sempre “il bene”

Il giudizio della rete è stato senza appello: una comunicazione povera di creatività (a partire dall’ormai inflazionato “scarpe a più non posso”), un video con inserimenti grafici che rimandano a concetti e a sensazioni a dir poco sgradevoli (rosso sangue che invade la città), una coreografia in cui la testimonial pare tutt’altro che a proprio agio. Se poi ci soffermiamo sul testo: “te lo dice la Simona in rosso!”, peccato che sia vestita di bianco!

In un nano-secondo il video è diventato virale, peccato però che lo sia diventato in senso negativo: parodie, commenti e giudizi negativi si sono susseguiti. Sulla fan page del brand si sono scatenati utenti con le peggior parole e il povero community manager pare sia scappato all’estero (vista la mancanza di gestione della pagina). Tanto di cappello però alla decisione di non cancellare nessun commento, il che però mi fa pensare che la teoria “purchè se ne parli” è stata abbracciata quando la bomba mediatica è esplosa.

La rete si mobilita in modo positivo

La rete è meravigliosa e grazie a chi sa che comunicare è un’arte, sono nate anche iniziative ironiche e positive come quella della mitica Carlotta Silvestrini, Graphic & Web Designer tra gli account più influenti di Google Plus in Italia, che ha creato una vera e propria task force di esperti grazie a un’idea geniale.

Ha utilizzato l’onda mediatica causata dal caso Pittarosso in maniera positiva, come? A seguito di una call che ha chiamato #unosloganmigliore “aiutamo Pittarosso a trovare uno slogan migliore” ha raccolto i contributi di esperti del settore in una bacheca. Il risultato è stato esilarante, ma divertente. Il mio contributo? Eccolo!

PITTAROSSO-giuffre

Ma quindi va bene tutto purché se ne parli? No!

Il sunto di tutto è che se ne è parlato, tanto, molto, troppo. Comunque se ne è parlato. Tra i tanti commenti spesso ho notato proprio questa frase “alla fine hanno raggiunto lo scopo, va bene tutto purché se ne parli, no?”. No. Il caso Pittarosso a mio avviso insegna proprio il contrario e ora ti dico perché.

  • una campagna di ADV può avere diversi obiettivi: brand awareness, vendite, promozione, ma il fine è comunque quello di portare il tuo cliente (o potenziale cliente) verso il tuo prodotto e non a insultarlo o a insultare la tua azienda. Lavori per costruire un’identità, non per distruggerla in nome del “purché se ne parli”.
  • La teoria del “va bene tutto purché se ne parli” mi ha altamente stancata perché causa di pessima comunicazione e spesso motivo in cui trovare giustificazione di comportamenti e aggressioni verbali che non sono più tollerabili. Anche Pittarosso ne è stato vittima. Mi vuoi dire che era stato tutto programmato a tavolino? Non credo proprio. Forse l’idea era quella di creare una comunicazione di tipo nazional-popolare e in questo, la scelta della Ventura è stata azzeccatissima, ma il risultato e soprattutto la reazione credo sia sfuggito di mano.
  • Parliamo spesso di analisi, reputation, brand identity. Quale reputazione ha costruito Pittarosso con questa comunicazione? Quale associazione logica mentale può aver creato e favorito nella mente del proprio pubblico? A me verrebbe da dire: Pittarosso = kitsch. Mi sbaglio?
  • Alcuni hanno teorizzato sul fatto che questa comunicazione mirava solo a fissare nella testa del pubblico il messaggio “da oggi Pittarello rosso diventa Pittarosso” e quindi, in questo senso, l’ADV ha avuto molto successo. Vero, peccato che se andiamo a vedere il video in maniera ritmica e continuativa sono inquadrate le scarpe, quelle scarpe che poi dovrebbero essere acquistate e alle quali vengono associate tutti i valori trasmessi da ogni comunicazione che parte dall’azienda.

Non mi permetto di criticare le scelte di un’agenzia senza conoscerne le motivazioni. Sarei però curiosa di sapere se il concept è stato frutto realmente di un’agenzia, se i titolari dell’azienda ci hanno messo lo zampino o, così come ha scritto Massimo, se sia stato fatto tutto di corsa e per rialzare le sorti di una produzione low cost si è deciso di investire su una testimonial, chissà!

Per correttezza, dopo tutto il polverone alzato, sarebbe interessante verificare se e quanto gli incassi di Pittarosso siano o meno aumentati dopo la campagna. In questo post si parla di un’azienda che ha deciso di modificare il brand perché in crescita del 35% (lascia ancor più stupiti quindi la qualità di prouduzione dello spot). Se fosse così, tutta la questione diventerebbe veramente un case study utile da analizzare, un paradosso comunicativo direi!

Il danno del “purché se ne parli”

Quello che posso fare io è teorizzare sulla strategia e guardare il fenomeno con considerazioni che sono sbilanciate da un solo lato, quello dello spettatore, quello della rete e del pubblico che ha reagito in maniera negativa.

Detto questo, in conclusione e tornando al titolo di questo post, credo sia ormai chiaro il perché la teoria del “purché se ne parli” sia fallimentare. In nome della buona comunicazione, della creatività più pura che io rispetto perché vera forma d’arte, il danno che può innescare chi intende la comunicazione come qualcosa da usare al ribasso, come un’azione strategica secondaria da non curare nei minimi dettagli, è veramente alto e in alcuni casi devastante.

Il rischio è che per riparare questi danni le aziende impiegheranno tempo e risorse con investimenti che supereranno di gran lunga il budget che sarebbe servito per produrre una comunicazione professionale e ben strutturata fin dall’inizio.

E tu che ne pensi? Parliamone purchè se ne parli?
Rosa

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